martedì 25 dicembre 2012

Arrestato per droga Antonio Dignitoso, uomo di fiducia del super latitante (?) Scotti, braccio destro di Cutolo


Ex cutoliano cegliese preso con droga
Un arresto da parte dei carabinieri
Un pregiudicato originario di Ceglie Messapica, da lungo tempo legato a famiglie della camorra napoletana, Antonio Dignitoso di 58 anni, è stato arrestato dai carabinieri mentre trasportava in auto un chilo e cento grammi di cocaina, destinati al mercato di Chiaravalle e Falconara Marittima (Ancona). I militari hanno fermato la sua Peugeot presa a noleggio all’uscita del casello di Mondolfo, lungo l’A14.
Portato in caserma, Dignitoso ha finto un malore, ma poi ha attuato un tentativo di fuga andato a vuoto. La droga, proveniente dalla Lombardia, era divisa in due pacchi. In casa dell’arrestato, perquisita praticamente poco dopo l’arresto, gli investigatori hanno trovato anche 20 mila euro. Dignitoso, originario di Ceglie Messapica (Brindisi), ha precedenti per omicidio, soppressione di cadavere e rapina.
Dignitoso era un uomo di fiducia del braccio destro di Raffaele Cutolo, Pasquale Scotti, misteriosamente scomparso molti anni fa. La condanna a 30 anni di carcere per omicidio se la prese nell’ultimo maxi-processo alla camorra celebrato con il vecchio rito, processo in cui un altro ergastolo fu inflitto a Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata, dalla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere.
L'introvabile Pasquale Scotti, braccio destro di Cutolo
Il procedimento si concluse nel 2005 con 13 condanne a vita, 16 assoluzioni e 8 a pene che variavano da uno a 30 anni di reclusione, e durò ben sedici anni, ed era a carico di 33 esponenti della Nco di Raffaele Cutolo. Solo l’istruttoria dibattimentale durò sei anni. Il procedimento era arrivato alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere nel 1989. I fatti contestati agli imputati, tra cui, il capo dell’organizzazione Raffaele Cutolo, ed esponenti di rilievo dello stesso clan, Pasquale Scotti, Mauro Marra e Raffaele Catapano, si riferivano a episodi accaduti tra il 1982 e 1983 in piena guerra tra la Nco e la Nuova Famiglia.
Antonio Dignitoso in quel processo risultava come pentito. Nell’agosto del 2006 fu poi arrestato dai carabinieri a Falconara Marittima, durante un altro trasporto di droga: 200 grammi di cocaina e 100 di hascisc, in parte nascosti a bordo di una Renault Megane.  Dignitoso è sposato con Teresa Vanacore, sorella del boss napoletano della cocaina Giulio Vanacore, a sua volta finita in manette nel 2009 per spaccio: era uscita di casa, a Falconara, con 220 grammi di cocaina nella borsa.
di Mar.Orl. » 22 dicembre 2012 alle 19:37
articolo tratto da Brindisi Report

Luigi Necco, il giornalista sportivo gambizzato dalla NCO per aver paragonato il calcio alla camorra.

Luigi Necco, il giornalista sportivo gambizzato dalla NCO
Nell'ottobre del 1980, Antonio Sibilia, presidente dell'Unione Sportiva Avellino, si reca accompagnato da Juary Jorge dos Santos Filho (giocatore dell'Avellino) a una delle tante udienze del processo che vede imputato Raffaele Cutolo, capo incontrastato della Nuova Camorra Organizzata. Durante una pausa saluta il boss con tre baci sulla guancia e gli consegna tramite Juary una medaglia d'oro con dedica («A Raffaele Cutolo dall'Avellino calcio»). Giustificherà il suo omaggio con queste parole: « Cutolo è un supertifoso dell'Avellino; il dono della medaglia non è una mia iniziativa, è una decisione adottata dal consiglio di amministrazione »

L'intera vicenda suscita l'interesse giornalistico di Luigi Necco, che ne parlerà a 90º minuto. Il giorno dopo viene gambizzato in un ristorante di Avellino per mano di tre uomini inviati da Enzo Casillo, detto 'O Nirone,   luogotenente di Cutolo fuori dal carcere. A tale gesto esemplare Cutolo si disse contrario ma Casillo agì ugualmente. La storia non può più passare inosservata ed Antonio Sibilia finisce nel mirino della magistratura.


Scattano, per lui, la detenzione ed un lungo processo per associazione per delinquere di stampo mafioso iniziato il 17 maggio 1984, con l'accusa di essere stato il mandante dell'agguato contro il procuratore della Repubblica di Avellino Antonio Gagliardi, avvenuto il 13 settembre 1982; il processo si concluderà con la totale assoluzione dell'imprenditore irpino.
Il dirigente sportivo
Antonio Sibilia

Antonio Schirato, Clemente e Pasqualino Perna, Ciro Starace, i quattro della Nco di Avellino


29 maggio 1983. L’evasione degli emissari della Nco


 – Quel 29 maggio 1983 era una calda domenica di primavera inoltrata: a mezzogiorno dal muro di cinta del carcere di via Dalmazia che si trova al centro di Avellino (il carcere Borbonico oggi diventato museo), si calano uno alla volta quattro detenuti appartenenti alla Nco di Cutolo, la nuova camorra organizzata. Un commando armato di complici in moto li aspetta fuori. Uno dei tre, il killer Antonio Schirato (30 anni) non riesce però a scappare, perché cade e si frattura un femore. Gli altri tre, i cugini Clemente e Pasqualino Perna (di 29 e 32 anni) e Ciro Starace (29 anni), si dileguano: Starace verrà arrestato, casualmente, quattro mesi più tardi, dopo aver forzato un posto di blocco dei carabinieri.
Tutti e quattro erano considerati gli emissari della nuova camorra organizzata in Irpinia. Nel giro di 24 ore il procuratore capo di Avellino, Antonio Gagliardi, emette una lunga serie di provvedimenti giudiziari, ipotizzando pesanti responsabilità a carico dei sette agenti di polizia giudiziaria e dello stesso direttore del carcere Umberto Solimene: quattro mesi dopo vennero condannati in primo grado per il reato di “procurata evasione colposa” (con pene dai sei mesi ad un anno).
Erano gli anni della guerra di camorra, gli anni in cui aveva già raggiunto l’apice l’impero di Raffaele Cutolo (o’ professore), ed erano anche gli anni di piombo, anni in cui si respirava violenza quotidianamente, dove magari era più difficile resistere alle minacce di una camorra che sembrava invincibile. Anche qui in Irpinia. Erano infatti gli anni in cui il sindaco di Quindici dell’epoca, Raffaele Graziano, venne destituito dal prefetto per sospetti rapporti con la camorra (proprio con Cutolo). Un sindaco, l’allora 42enne Raffaele Graziano, che tra l’altro era stato eletto mentre era in carcere, sospettato di essere il mandante di un delitto.
L’anno prima, nel 1982, il procuratore Gagliardi era stato ferito in un attentato camorristico lungo la strada Nazionale che collega Monteforte al Baianese. Nel novembre del 1981 Antonio Schirato, quello con il femore rotto, aveva gambizzato, su ordine del numero due della Nco Enzo Casillo (Cutolo era contrario) il giornalista sportivo della Rai Luigi Necco. Si era azzardato ad accostare, per la prima volta in quegli anni, il mondo del calcio a quello della malavita organizzata. Erano gli anni dell’Avellino in serie A. La camorra si era riversata in città per succhiare i soldi che dovevano servire per i terremotati. Non se ne è più andata.
Articolo tratto da Avellino Ottopagine

mercoledì 19 dicembre 2012

Oggi, 20 Dicembre 2012, Raffaele Cutolo compie 71 anni.

E sono 71 anni. Il protagonista del nostro blog compie gli anni, li compie in galera, dovi si trova internato secondo le regole del 41 bis, norma da tutte le persone di buon senso definita contro i diritti fondamentali dell'essere umano. Ci chiediamo come possa una società civile, come si definisce la nostra, tollerare tutto questo. E soprattutto ci chiediamo come si possa tollerare che un uomo viva segregato per più di 50 anni tra quattro mura, senza che gli sia data la possibilità di espiare le proprie colme con una pena alternativa a quella della semplice segregazione. La legge della punizione è quella che trionfa! Altro che riabilitazione e  rieducazione! Certo, Cutolo ha fatto soffrire molta gente, ma è pur sempre un essere umano e gli si deve dare la possibilità di riparare, di vedere, toccare con mano le dinamiche di vita quotidiana al fine di un sincero e un (veramente utile alla giustizia) pentimento.





venerdì 14 dicembre 2012

I codici della camorra: da Raffaele Cutolo a Paolo Di Lauro


Si può parlare, senza aprir bocca. Si può comandare o minacciare, senza aprir bocca. Lo sanno bene quelli che vivono nei quartieri-Stato dove la camorra ha cambiato non solo le regole di vita, ma anche quelle della comunicazione, piegandole – le une e le altre – alle proprie sporche esigenze. Chi abita alle latitudini della Bestia capisce presto come decifrare i segnali impercettibili del linguaggio invisibile dei clan. Un linguaggio d’amore e morte. Un linguaggio fatto di gesti, di sguardi, di una grammatica del potere criminale che gli investigatori hanno dovuto, a loro volta, imparare a decifrare per intercettare i messaggi della malavita, per sabotarne piani e per stroncare l’evoluzione della specie (mafiosa). Il bacio, ad esempio. Quello che Raffaele Cutolo-Ben Gazzara, nel film “Il camorrista”, stampa sulle labbra del picciotto che lo ha tradito ha il significato di una sentenza capitale, una sentenza inappellabile. Quello che un affiliato agli scissionisti ha rubato, invece, a Daniele D’Agnese – piccolo kapò di Secondigliano – davanti alla Questura di Napoli (8 giugno 2011) ha tutt’altro sapore: è un invito
 a non mollare, a non lasciarsi travolgere dai dubbi e dai timori. A diradare la nebbia della paura della galera. A non cedere alla tentazione di pentirsi. Quel bacio è un’assicurazione sulla vita e un impegno di continuità. Così com’era un impegno di continuità nella gestione del potere criminale il gesto di Carmine Alfieri (nella foto a destra), vecchio capocamorra degli anni Ottanta, di portare con sé una coppola rossa al momento dell’arresto. Quel copricapo stretto tra i pugni ammanettati aveva un solo scopo: tranquillizzare i soldatidella famiglia e ribadire che il capo sarebbe rimasto lui, anche in carcere. Che poi Alfieri abbia deciso, di lì a qualche mese, di iniziare a collaborare con la giustizia, raccontando vent’anni di orrore ai magistrati, è un’altra storia. Ci sono poi le azioni, i segni che vengono affidati non a un singolo momento ma alla memoria. Nel mondo della camorra uno spazio importante, in questa direzione, l’hanno conquistato i tatuaggi: la famiglia Amato, fondatori del clan degli scissionisti, ha come simbolo uno scorpione perché è il segno zodiacale del capoclan, Raffaele ’o spagnolo. I giovani secondiglianesi che trafficano cocaina ce l’hanno marchiato sui bicipiti o, molto più frequentemente, sull’avambraccio, e qualcuno, raccontano gli investigatori, se l’è fatto disegnare finanche sulla targa dell’auto, a dimostrazione imperitura della fedeltà al capo e di senso di appartenenza. In economia, tutto questo si chiamerebbe brand, ma questo i camorristi non lo sanno e usano mezzi un po’ più primitivi per far passare l’idea. Regalando un Rolex Daytona e un motorino Sh ai nuovi affiliati, quelli che hanno deciso di entrare nella chiesa con la speranza di poter diventare, un giorno, killer o capopiazza. Un capopiazza come Paolo Gervasio, soprannominato zio Paolo, potente e spregiudicato broker del narcotraffico sulla rotta Barcellona-Napoli. Un tipo visionario, che – raccontano le indagini della Dda – aspirava a diventare il re della cocaina a Napoli tanto da farsiscrivere su un muro, a pochi metri dai depositi di droga del suo gruppo, a caratteri cubitali: Zio Paolo = Pablo Escobar. Un delirio di onnipotenza che ha messo gli uomini del nucleo investigativo di Castello di Cisterna e gli 007 dei servizi segreti civili sulle sue tracce lungo una campagna di caccia che si è conclusa con l’arresto inevitabile di zio Paolo.Spiega un investigatore: “Quella frase era un po’ come un’iscrizione su un monumento: era ammonizione per i nemici (perché zio Paolo poteva diventare sanguinario come il suo idolo colombiano) e incoraggiamento per gli amici (a non temere alcunché perché c’era lui a proteggerli)”. Quell’iscrizione è diventata la frase finale sui titoli di coda della sua assurda vita da trafficante di morte. Navigando su Google street view ancora oggi si possono notare, dalle parti di corso Secondigliano, slogan inneggianti alla faida tra la potente famiglia Di Lauro e gli spagnoli di Raffaele Amato (“Il leone è ferito, ma non è morto”, un chiaro riferimento al boss Ciruzzo ’o milionario, condannato a trent’anni di carcere per droga, o ancora “Benvenuti alla scissione”). Si tratta di messaggi cifrati, che soltanto i picciottiriescono a interpretare. È una litania che vola sopra la testa dei passanti, che si disperde nell’aria senza bisogno di onde elettromagnetiche e sintetizza, ben più dei 160 caratteri di un sms, che qualcosa sta cambiando da quelle parti o che qualcosa è già cambiato. Come quando una mano anonima, armata di una bomboletta spray, segnò sul metallo arruginito di una vecchia saracinesca: “Cosimo e Vincenzo”. Due nomi come tanti, altrove, ma non in quel luogo, non in quel tempo. Cosimo e Vincenzo sono i figli di Ciruzzo ’o milionario e quel messaggio indicava, a mo’ di colonne d’Ercole, che quello era territorio sotto il protettorato del clan. Ultimamente si è favoleggiato, invece, sui significati nascosti della (questo sì, strana) coincidenza che accomuna un po’ di latitanti arrestati negli ultimi tempi: vestono tutti lo stesso tipo di maglia, con su impressa le facce ribelli e maledette di James Dean e di Steve McQueen. Qualcuno ha ipotizzato che si tratti di una informazione cifrata, anche se gli stessi investigatori non sono riusciti, ancora oggi, a darsi una risposta convincente. Cos’è? Un invito a continuare con la vita spericolata? È una divisa sociale del clan? E che c’entrano gli attori? Di certo c’è solo una cosa: non portano bene a chi le indossano.
Servizio in Cronana tratto dal sito Notix.it

sabato 24 novembre 2012

Io, Cirillo e Cutolo. In un libro i retroscena del rapimento Cirillo ad opera dei brigatisti.


Le vicende legate al noto assessore regionale ai lavori pubblici della Campania, Ciro Cirillo, quando fu rapito dalle Brigate Rosse e poi rilasciato con l'intercessione di Raffaele Cutolo su richiesta del partito della Democrazia Cristiana, ora vengono raccontate da un testimone diretto di quegli eventi, Giuliano Granata, braccio destro super assessore, in un libro intervista curato dalla giornalista partenopea Tonia Limatola. Nel video alcuni momenti della presentazione del libro.

sabato 6 ottobre 2012

Giovanni Melluso detto "il bello" o "Cha cha cha"

Giovanni Melluso (nato nel 1959) è stato un criminale italiano associato al  boss milanese Francis Turatello che in seguito divenne un importante  informatore contro la Nuova  Camorra Organizzata (NCO).

E 'particolarmente famoso per il caso Enzo Tortora , conduttore tv falsamente accusato di traffico di cocaina e di aver fatto parte della NCO.


Carriera penale

Nato in Sicilia , Melluso era emigrato a Milano all'età di 15 nel 1974. E 'stato durante questo periodo che conobbe Francis Turatello, il boss della malavita italiana di Milano. Secondo Melluso, Turatello gli aveva chiesto di diventare un membro della sua organizzazione. Melluso ha rifiutato, accettando solo lavoro come terzista cocaina occupa nello show-business mondiale. Melluso arrotondato l'attività di spacciatore di Turatello, lavorando come un pappone e occasionalmente commettere furti piccoli. Durante questo periodo, ha anche adottato numerose false identità tra cui Michele Tiano, Sante Breguglio, Mario Dalleri, Giuseppe Montalbano, Vincenzo Campo, e Paolo Belvisi. Melluso ha scelto di operare nella Riviera Italiana, e ha avuto un buon funzionamento in esecuzione fino alla fine del 1978, quando è stato arrestato per rapina a mano armata e condannato a 16 anni di carcere.
[ modifica ]Come diventare un pentito

Dopo sei anni di carcere duro, Melluso ha deciso di diventare un pentito . Il 2 marzo 1984, quando le udienze preliminari del processo contro la camorra Nuova Organizzata (NCO) erano già in moto, ha chiesto di essere trasferito dalla sua cella al Carabinieri caserma. Lì, ha dichiarato il giudice istruttore della sua decisione di cambiare la sua vita perché era stanco delle condizioni delle carceri e anche perché uno dei suoi ex soci, Andrea Villa, aveva già deciso di collaborare e aveva coinvolto Melluso nella sua testimonianza. Nel lungo periodo, Melluso voleva una riduzione della sua pena detentiva, in cambio della sua testimonianza.

Dopo esser divenuto pentito, Melluso è stato concesso un alloggio in caserma dei carabinieri, dove è stato trattato più come un ospite che come un prigioniero. Ha ricevuto diverse visite da sua moglie, che si dice è rimasta incinta durante questo periodo. Era in grado di vestirsi bene, e abbiamo una vita facile sotto la protezione dei carabinieri. Anche quando altri pentiti dovuto tornare in loro prigione, Melluso è stato in grado di prolungare la sua permanenza cronometrando il recapito delle sue informazioni, in uno scambio qualificato di prove di vantaggi. Quando suo fratello è stato ucciso qualche tempo dopo la sua denuncia delle attività della banda Turatello, Melluso usato questo fatto come merce di scambio di cui lamentarsi e chiedere maggiore sicurezza.

Giovanni Melluso non era un napoletano, non vivere a Napoli, e non era conosciuto come un camorrista dal Dipartimento di Giustizia. Dal momento che aveva sempre operato nel Nord Italia, non aveva alcuna conoscenza intima della malavita di Napoli. Egli ha affermato di essere stato solo un ousider Turatello nel mondo degli affari e di non aver mai appartenuto alla sua organizzazione. Egli ha anche negato l'appartenenza alla NCO. A differenza di altri pentiti come Pasquale Barra, Giovanni Pandico e Luigi Riccio, Melluso mai ammesso alcun crimine orribile. Tuttavia, il pentimento Melluso aveva un certo valore per il Dipartimento di Giustizia, perché bisogno di qualche prova per i suoi procedimenti di connessioni NCO nel settore dello spettacolo nel Nord Italia. In tribunale, Melluso dimostrato di essere un artista abile, in grado di rispondere a un segnale, respingere gli attacchi della difesa, e per animare i suoi conti con dettagli precisi e aneddoti colorati. falsa testimonianza contro Enzo Tortora
Enzo Tortora essere guidati dalla polizia
durante il suo processo del 1985.
Nel 1983, il Dipartimento di Giustizia aveva arrestato alcuni ben rispettati membri dell'industria italiana dello spettacolo, che era stato in precedenza suspiscion, attirando così l'attenzione del pubblico tanto necessaria al lavoro di forze dell'ordine nella lotta alla criminalità organizzata. Questa mossa è stata ispirata dalla percezione del Dipartimento di Giustizia che l'unità contro la criminalità organizzata può avere successo solo se l'opinione pubblica si è concentrata su di esso, e si misero a discutere molto difficile da trovare alcuna prova incriminante contro le persone in grado di attirare l'attenzione dei media.

Giovanni Melluso è stato il testimone chiave contro Enzo Tortora , forse più famoso d'Italia ospite di talk show, che è stato accusato di aver ricevuto e la vendita di oltre dieci chili di cocaina in diverse occasioni da persone affiliate alla NCO. E 'diventato utile per aiutare il Dipartimento di Giustizia a sostegno delle sue accuse contro Tortora, quando ha confessato di aver avuto vari incontri con Tortora nella fornitura di lui cocaina.

Melluso ha sostenuto che questi rapporti ha avuto luogo nel 1976 per le strade di Milano, dove entrambi gli uomini vivevano. Più tardi, verso la fine dello stesso anno, Melluso andato in ufficio di un avvocato, Cacciola, dove ha presumibilmente incontrato Tortora e altre due persone, che egli in seguito identificati come Roberto Calvi e Francesco Pazienza . Secondo Melluso, Tortora avuto un caso cosmetico pieno di soldi che ha mostrato a Calvi e Pazienza. Dopo tre ore di conversazione, l'avvocato Cacciola Tortora ha presentato con un sacchetto di cocaina e lo ha consegnato al Melluso per consegnarlo a Roma . Prima del suo arresto nel 1978, Melluso consegnata due volte la cocaina a Tortora, 5 o 7 chili la prima volta in un night club chiamato Derby in Viale Monterosa, e il pacchetto più piccolo per la seconda volta in una piazza pubblica, Piazzale Loreto o piazza Corveto). A testimonianza del suo buon rapporto con Tortora, Melluso ha affermato di aver avuto una fotografia che mostra i due insieme, ma di averlo distrutto dopo l'arresto di Tortora nel 1983.

Testimonianza di Melluso è stata confermata da altri sette pentiti, tra i quali, Giovanni Pandico , Luigi Riccio , Mario Incarnato , Pasquale Barra , ecc Sulla base di queste testimonianze, Tortora finalmente è stato condannato per traffico di cocaina e l'appartenenza NCO nel 1985 e condannato a dieci anni di carcere  Tortora è stato detenuto per anni prima di essere eliminato della carica da una corte d'appello. Ha sviluppato il cancro ed è morto poco dopo il caso è stato finalmente risolto, alcuni dicono a causa della emotivo lo stress della sua prigionia.
Testimonianza contro altri soci

Nel marzo 1984, l'Ufficio Indagini del Tribunale di Napoli ha dato la Procura di Milano, una copia delle dichiarazioni rese dal Melluso riguardante l'attività della droga presunta tratta di Walter Chiari, Patrizia Caselli e Antonino Cusumano. Melluso aveva fatto accuse contro queste persone che erano molto simili a quelle concernenti Tortora: acquisto e vendita di notevoli quantità di cocaina, fornire un dettagliato resoconto degli incontri con i due attori. Il 19 luglio 1986, il giudice istruttore ha assolto i tre imputati.

Ha motivato la frase come segue:"L'indagine ha dimostrato in modo chiaro ed evidente che l'accusa è infondata. Melluso mente deliberatamente quando accusa le persone di cui sopra". In secondo luogo, l'assiduità preventiva con altri collaboratori della giustizia appare altamente sospetto, per la ragionevole possibilità che vi sia una influenza reciproca, e nella circostanza specifica reso evidente dal fatto che il primo ingresso per l'indagine è stata fornita proprio da quel Villa Andrea qua
La credibilità di cui trattasi

Giovanni Melluso credibilità come testimone è stata contestata e minato fin dall'inizio. Egli è stato accusato di mentire sul banco dei testimoni, al fine di approfondire la sua importanza e l'affidabilità come testimone. Per esempio, nello studio di Enzo Tortora, molti dei pentiti altro che confermato le sue accuse avrebbe poi ritrattare le loro dichiarazioni

Il primo è stato Mario Incarnato che ha dichiarato di essere stato costretto ad accusare Tortora dopo nove mesi. Un altro pentito, Catapano Guido, scrisse a Tortora in carcere che aveva diviso la cella con Melluso per sei mesi nel penitenziario di Campobasso, ed era ben consapevole che le accuse contro di lui erano calunnie. Egli ha dichiarato che Melluso aveva ammesso di mentire e che l'unica volta che aveva visto Tortora era in uno show televisivo. Egli ha inoltre affermato che Melluso ammesso di essere stato in Sicilia al momento del presunto incontro, e aveva paura di essere contraddetto. Un altro pentito, Roberto Sganzerla ha scritto una lettera simile conferma questo fatto. Uno dei testimoni principali contro la NCO Pasquale D'Amico , ha scritto anche a Tortora affermando che Melluso è stato un gran bugiardo.

Un pentito, Michele Tassini, che ha testimoniato il 14 maggio 1986 dinanzi al Tribunale di Napoli contro la banda Giuliano, ha dichiarato che Riccio, Incarnato e Melluso voleva rendere dichiarazioni contro Tortora per promuovere le proprie dichiarazioni e che era lo stesso che era Melluso più profondamente coinvolti nella vicenda. Ancora un altro pentito, Salvatore Sanfilippo, chiese perdono in una lettera a Tortora. Ha dichiarato di essere stato minacciato di omicidio da Pandico, Melluso e gli altri pentiti, se non è riuscito a sostenere le loro accuse. Gli è stato chiesto di dire tra le tante cose che Tortora stava tramando un attentato contro la Procura della Repubblica, Diego Marmo, per essere più credibile nella riconferma delle accuse. Inoltre, i giudici del terzo ramo hanno detto che gli stessi pentiti evocato queste accuse.

Inoltre, Melluso ha affermato di aver dato un chilo di cocaina a Tortora tra la fine del 1975 e l'inizio del 1976, che era semplicemente impossibile, come Melluso era nel carcere di Sciacca dal 19 novembre 1975 al 6 aprile 1976.

Melluso di associazione con Francis Turatello è anche venuto sotto attacco da molti magistrati inquirenti e pentiti altri. Nel corso del dibattito del quarto ramo del processo contro la NCO, Roberto Sganzerla ha dichiarato che Melluso non è mai stato uno spacciatore di lavoro per Turatello. Ciò è stato ulteriormente confermato il 9 luglio 1983, da Angelo Epaminonda, successore di Turatello che è diventato un pentito dopo il suo arresto, ed era considerato estremamente affidabile dai magistrati di Milano.
[ modifica ]Nuovo carcere



Il 24 luglio 2012, Melluso è stato arrestato a causa di una carica di sfruttamento della prostituzione.

Arrestato Gianni il bello - Giovanni Melluso - per sfruttamento prostituzione a Sciacca: accusò Enzo Tortora

Prostituzione: arrestato "Gianni il bello", l'accusatore di Enzo Tortora

Operazione antiprostituzione tra Sciacca, Menfi e Sambuca di Sicilia (Agrigento): Giovanni Salvatore Melluso a capo di un'organizzazione dedita allo sfruttamento di giovani straniere

di Redazione 24/07/2012
gianni il bello-2I carabinieri di Sciacca hanno eseguito questa mattina quattro ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip su richiesta della Procura di Sciacca, nei confronti di altrettanti appartenenti ad un'organizzazione dedita allo sfruttamento sessuale di giovani straniere.

A capo del clan, Giovanni Melluso detto 'Gianni il bello' - già sorvegliato speciale di pubblica sicurezza fino al 2011 - fra gli accusatori del presentatore televisivo Enzo Tortora, arrestato nel 1983 per reati in materia di stupefacenti e per l'ipotizzata appartenenza alla "Nuova Camorra Organizzata" di Raffaele Cutolo. Accuse che si rivelarono poi infondate con la conseguente assoluzione dell'imputato.

OPERAZIONE PORTOBELLO - L'operazione antiprostituzione è stata denominata, simbolicamente, "Portobello" (il celebre programma televisivo condotto da Tortora). I miliari dell'Arma di Sciacca e quelli del reparto operativo di Agrigento stanno eseguendo anche delle misure di sequestro per un club privé e per due appartamenti a Menfi (Agrigento) dove l'associazione avrebbe fatto prostituire donne straniere.


LE INDAGINI - L'inchiesta antiprostituzione è stata avviata nell'aprile scorso. Durante questo breve lasso di tempo, i carabinieri hanno accertato che Melluso, in associazione con altri cinque indagati (tre di essi sono gli altri destinatari di misura cautelare e fra questi vi sarebbe anche la compagna del Melluso) aveva organizzato, in un immobile in contrada San Marco, a Sciacca, una casa di prostituzione in un 'club privato', ufficialmente non riconducibile a lui. Nel locale sarebbero state ospitate prostitute straniere, del circuito 'escort in tour', e trans.
AFFITTI STELLARI E ANNUNCI SUI GIORNALI - L'organizzazione chiedeva alle giovani straniere un anticipo minimo di 420 euro per una settimana di 'affitto' di una stanza. Il gruppo reclutava le prostitute anche tramite annunci su quotidiani o siti internet e, a seguito dell'accordo, le ragazze venivano invitate a raggiungere Sciacca o Menfi dove l'associazione aveva nella disponibilità altri due appartamenti. I carabinieri hanno appurato che ogni giovane straniera riuscisse ad incassare fino a 1.000 euro al giorno. (da AgrigentoNotizie)

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martedì 2 ottobre 2012

Successo per la fiction Rai "Il caso Enzo Tortora - Dove eravamo rimasti". Ancora una volta i cutoliani tornano al centro dell'attenzione

E' andata in onda Domenica e Lunedi scorsi la fiction della Rai "Il caso Enzo Tortora - Dove eravamo rimasti" che ha narrato le tormentate vicende del noto conduttore Rai arrivato agli onori della fama per il suo programma Portobello. Per l'interpretazione del protagonista è stato scelto Ricky Tognazzi, non poteva esservi scelta migliore data la sensibilità e la grandezza di Tortora. Un plauso a Tognazzi, bravissimo e intenso!  A questa vicenda abbiamo ampiamente dato spazio con un post apposito su questo blog. Tortora, ricordiamo, fu accusato ingiustamente da un gruppo di criminali che scelsero la strada del pentitismo, personaggi facenti parte del famoso e agguerrito clan camorristico "Nco" (nuova camorra organizzata) capeggiato dall'ergastolano Raffaele Cutolo, attualmente in carcere col regime del 41bis. Le calunnie rivolte al presentatore tv lo segnarono non solo nell'animo, ma anche nel fisico, portandolo ad una triste ed inesorabile malattia proprio all'indomani del trionfo della verità, quando tutte le accuse rivoltegli contro furono smontate una per una e i sui accusatori sbugiardati. Le due puntate hanno avuto un successo di pubblico che sfiora uno share del 25%, quasi 5 milioni di persone sono state incollate allo schermo per la visualizzazione del film.

Per l'occasione vi invitiamo a votare il sondaggio che abbiamo approntato su questo blog. Secondo voi, Raffaele Cutolo deve pentirsi? E' evidente che anche per il caso Enzo Tortora Cutolo potrebbe rivelare fatti e misfatti che forse resteranno per sempre sepolti. Non se il capo della famosa Nco si decidesse a parlare con i magistrati e a raccontare tutti i retroscena di quel tormentato periodo storico italiano, quando si registrò l'ascesa della Nuova Camorra Organizzata. Si è detto che alcune frange dell'attuale potere italiano abbiano ancora da temere da un eventuale pentimento del noto boss di Ottaviano. Per chi crede nella giustizia e nella democrazia è fondamentale chiedere a gran voce che siano portate alla luce le pagine mancanti della storia degli ultimi quarant'anni del nostro paese. Lo dobbiamo alle centinaia di migliaia di vite sacrificatesi per riscattare la libertà e la dignità dell'antico e glorioso popolo delle Due Sicilie.

venerdì 13 luglio 2012

Michele Zaza, il Re del Contrabbando

Il Re del Contrabbando di sigarette
Michele Zaza
Michele Zaza (Napoli, 10 aprile 1945 – Roma, 18 aprile 1994) è considerato uno dei più importanti boss della camorra napoletana dedito al contrabbando e allo spaccio di droga. È parente dei camorristi Ciro, Gennaro e Vincenzo Mazzarella.

Figlio di un pescatore di Procida, Michele Zaza detto 'o pazzo è affiliato a Cosa Nostra ed è socio di Alfredo Bono. Zaza costruisce il suo potere criminale sul contrabbando, attività che nel corso degli anni '70 ed '80 costituisce una delle principali voci dell'economa campana. Nel tentativo di fermare il potere di Raffaele Cutolo, nel 1978 Zaza riunisce diversi boss nella cosiddetta "Onorata Fratellanza" e tenta di stabilire una spartizione del territorio tra cutoliani e anticutoliani. L'arroganza e la ferocia di Cutolo non rendono fattibile tale mediazione tanto che i boss si costituiscono come Nuova Famiglia inaugurando una delle più sanguinarie guerre di camorra del secolo. Lo scontro avviene anche nelle carceri tanto che si decise di dividere i galeotti appartenenti ai gruppi antagonisti. I morti, tra il 1980 e il 1984 sono 1242.

Il suo non era il cliché del mafioso silenzioso, che vive nell'ombra: si fece costruire due ville faraoniche,una a Posillipo e l'altra a Beverly Hills, viaggiando spesso tra la Francia e gli Stati Uniti. Rilasciò anche curiose interviste - l'ultima delle quali nel 1991 a un giornalista dell'agenzia di ANSA in Costa Azzurra. In essa proferì parole di stima per il giudice Giovanni Falcone È un grand'uomo e di ironia per i politici Se nasco un'altra volta mi butto in politica; Facevo il commerciante, perché i carichi di sigarette li pagavo e facevo vivere tante di quelle persone che a Napoli mi vogliono bene.

Arrestato una prima volta a Roma con indosso un giubbotto antiproiettile e un miliardo di lire, tra banconote e assegni, arrotolati nelle tasche, a Capodanno del 1984 evade dalla clinica "Mater Dei" di Roma per rifugiarsi in Francia. Catturato prima di imbarcarsi con la famiglia su un aereo per la California, torna in libertà per gravi problemi di salute.

Il 15 aprile 1989 viene arrestato in Francia a Villeneuve-Loubet il 12 maggio del 1993[1] con l'accusa di associazionemafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e duplice omicidio. Quest'ultimo reato si riferisce all'uccisione di due contrabbandieri siciliani, Alfredo Taborre e Giuseppe Barbera, assassinati nel giugno del1977. Zaza amava abitare in Francia dove aveva sposato una donna francese e aveva concepito 2 figli.

È morto a 49 anni al policlinico Umberto I di Roma il 18 luglio del 1994.

lunedì 2 luglio 2012

Immacolata Iacone, la moglie del boss Raffaele Cutolo

Immacolata Iacone, moglie del
noto boss della Camorra
Raffaele Cutolo
NAPOLI - "Se ti sposi con me è come essere vedova". Queste le parole che Raffaele Cutolo, ex boss della Nuova Camorra Organizzata, ha pronunciato a colei che sarebbe diventata sua moglie nel 1983. Lei, mmacolata Iacone, ne parla a Tu Style, il settimanale diretto da Marisa Deimichei, in edicola domani 8 aprile. ra tutta la la sua è vita è la figlia Denise, nata con inseminazione artificiale."Quando l´ho conosciuto non mmaginavo chi fosse, ma tutti lo chiamavano ´O Professore´. Avevo 17 anni e lui 37, era già in prigione". mmacolata lo conosce quando va a trovare in carcere il fratello, accusato di omicidio e poi assolto. Dopo un paio di settimane Cutolo le fa avere un biglietto: "Sono rimasto colpito per la spontaneità di una ragazza acqua e sapone". Mesi dopo Immacolata torna in carcere: "Era l´8 maggio del 1981, all´ingresso del penitenziario distribuivano rose rosse. Ne diedero una anche a me. Quando mi avvicinai per salutarlo disse: ´Quella rosa e´ un mio regalo. Mi sentivo un uomo spento, ma con te sono rinatò, poi mi chiese di sposarlo e aggiunse: ´Devo scontare ancora due anni di carcere, ma una volta fuori faremo una vita bellissima´, io a quel punto - continua Immacolata - gli risposi: ´Non sono niente due anni, ti aspetterei anche 20´´. Dopo avere chiesto la mano al padre della ragazza, arrivò il primo bacio, che fu anche l´ultimo e poi più niente, nessun contatto, poiché la speranza di detenzione di due anni per Cutolo si trasformò in una lunga serie di trasferimenti da carcere a carcere. 

Immacolata Iacone, moglie di
Raffaele Cutolo, oggi
"Ci sposammo - aggiunge Immacolata Iacone - il 26 maggio del1983, indossai l´abito bianco e all´altare mi portò l´avvocato. Raffaele mi aspettava di fronte all´altare. Era la prima volta che lo vedevo dalla testa ai piedi. Mi baciò la mano e la fronte. Dall´emozione inciampai nel vestito. Stavo per cadere, lui mi sostenne. Quella è stata l´unica volta che l´ho visto fuori da una cella, senza il filtro di un vetro". Dopo quel giorno per la moglie di colui che trasformò la camorra da fenomeno locale in un´organizzazione a livello nazionale, iniziò un periodo tragico: accusata di fare da complice al marito venne arrestata e in un secondo momento scagionata. Le ammazzarono padre e fratello, poi toccò allo zio, e nello scorso luglio anche la madre è stata uccisa. Immacolata continua, confidando a Tu Style: "L´unica colpa che ho è di essermi innamorata di un uomo che si chiama Cutolo. Quando l´ho conosciuto non sapevo chi fosse e ancora oggi non so bene cos´abbia fatto. Ma di una cosa sono certa: qualsiasi atrocità abbia commesso, sta pagando in carcere a differenza di altri che sono fuori. E sto pagando anche io con lui. Sto segregata in casa perché mi dicono che è un disonore uscire essendo moglie di un carcerato. E´ durissimo vivere così". Ora la Iacone vive per la figlia Denise, nata il 30 ottobre scorso. "Mi ha ridato la forza di vivere, di passeggiare, di uscire a fare le spese, di invitare gli amici a cena. Sogno di andare lontano con lei, per regalarle il futuro che merita".
07/04/2009



La moglie del noto boss fondatore della NCO Raffele Cutolo si racconta in una storica trasmissione della Rai, Storie Maledette, condotta dalla giornalista Franca Leosini


Video n°1

Video n°2

Video n°3

Video n°4

Video n°5

Video n°6

mercoledì 27 giugno 2012

Pasquale Scotti, detto 'o Collier



Pasquale Scotti (Casoria, 8 Settembre 1958), detto Pasqualino 'o collier per aver regalato un collier alla moglie di Raffaele Cutolo, ma conosciuto anche come 'o 'ngegnere (l'ingegnere), è stato uno dei più fedeli alleati del boss di Ottaviano, rappresentandone la cosiddetta batteria o braccio armato. Dopo il trasferimento di Cutolo all'Asinara, e il maxi-blitz del giugno 1983, Scotti tenta di riorganizzare le file della NCO.

Pasquale Scotti viene arrestato a Caivano il 17 dicembre del 1983 grazie ad un'operazione diretta dall'allora capo della squadra mobile Franco Malvano. È accusato di essere il mandante dell'omicidio di Giovanna Matarazzo detta Dolly Peach, una ballerina di un night club romano legata sentimentalmente a Vincenzo Casillo.

In realtà, il suo potere deriva da numerosi altri crimini (omicidi, estorsioni, riciclaggio, controllo dello spaccio di stupefacenti). Nel corso della detenzione, sembra decidere di collaborare, rivelando diversi aspetti della NCO, l'organizzazione cui era affiliato. Ma si tratta di una collaborazione fittizia. Scotti evade infatti la notte di Natale del 1984 dall'ospedale civile di Caserta dove era stato ricoverato per una ferita alla mano. È ricercato dal 1985 per omicidio ed occultamento di cadavere. Dal 17 gennaio 1990 è ricercato anche in campo internazionale e fa parte dell'Elenco dei latitanti più pericolosi d'Italia. Sulla sua sorte sono state formulate nel corso degli anni le ipotesi più disparate: a quanto sembra non ci sarebbe certezza sul fatto che sia ancora in vita.
Nel 2005, la terza sezione della corte d'assise di Santa Maria Capua Vetere, condanna il boss all'ergastolo.

Luigi Cesaro, dal 2009 presidente della Provincia di Napoli, ha ammesso che, nel corso degli anni ottanta, chiese la protezione di Rosetta Cutolo al fine di sottrarsi alle pesanti richieste estorsive del gruppo di Pasquale Scotti
fonte: wikipedia




Pasquale Scotti, affarista superlatitante E l’ultimo business sotto la Madonnina
Il boss cutoliano è il più longevo fuggiasco. Ricercato dal 1984 rientra nella lista dei primi trenta. Oggi un'informativa della squadra mobile di Napoli per la prima volta rivela i suoi interessi a Milano, svelando nome e cognome di colui che ne avrebbe protetto la latitanza


di Nello Trocchia | 24 ottobre 2011 (Il Fatto quotidiano)


Nella lista dei ricercati il più longevo è lui. Si è dato alla macchia 27 anni fa, ma i riflettori restano spenti sulla sua fuga. Lo chiamano l’ingegnere, per i modi dotti, oppure o’ collier per aver omaggiato la moglie del suo capo con un girocollo da 50 milioni di vecchie lire. Pasquale Scotti, da Casoria, provincia di Napoli è tranquillo perché diverse fonti lo indicano vivo e attento ai suoi affari, in una nuova veste di imprenditore che lo vede protagonista sulla piazza di Milano attraverso un personaggio già emerso in un’indagine di ‘ndrangheta. Eppure sulla sua figura il mistero resta fitto visto che di tanto in tanto rimbalzano voci sulla sua possibile morte, l’ultima di un pentito della ‘ndrangheta Franco Pino.

Di certo la polizia di Stato ha diramato un nuovo identikit del latitante e chiarito: “I suoi legami con la sua terra d’origine e con i suoi familiari sono però stati accertati attraverso diversi indizi”. La sua latitanza inizia nel 1984 quando scappa dall’ospedale di Caserta dove è ricoverato dopo l’inizio della sua collaborazione, fittizia e finalizzata alla fuga. Scotti, secondo la magistratura, è un killer spietato al servizio di Raffaele Cutolo, o professore vesuviano, il suo fedelissmo. E’ capace con le armi, ma è anche una mente raffinata.

Oggi con una faccia ritoccata sarebbe impegnato nel settore dei videogiochi e nell’attività imprenditoriale attraverso una rete di vecchi amici e nuove alleanze. Amici come Mauro Russo (non indagato) che emerge da un’informativa della squadra mobile di Napoli. Il suo nome sta agli atti dell’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta al nord. Secondo quando si legge nel documento, Russo è vicino a Scotti, tanto da “averne curato gli interessi”. Mauro Russo, originario di Casoria, da anni ormai si è trasferito a Milano. Di più: oltre ad avere collegamenti con Scotti, incrocia gli interessi con la ‘ndrina Valle e con i Moccia, egemoni ad Afragola, in provincia di Napoli. Famiglia criminale quest’ultima che ha perseguito la linea della dissociazione, ma nessun pentimento. Russo è anche lui nato e cresciuto nel contesto criminale che vede Scotti spadroneggiare. Il casellario di questo campano, oggi perfettamente integrato nel sistema imprenditoriale lombardo, racconta di precedenti per associazione mafiosa e condanne per estorsione e associazione a delinquere. Tutte vicende risalenti agli anni ’80. Epoca prima dominata dai cutoliani e poi, dopo il tramonto di Cutolo, dalla nuova famiglia.

La chiave quella dei rapporti tra Scotti e Russo viene fornita dal collaboratore di giustizia Michele Froncillo (pentitosi nel 2007), ai vertici del clan Belforte, egemone nell’area casertana che ha spiegato l’interessamento al settore del gioco del gruppo criminale di appartenenza proprio attraverso l’intercessione del solito Mauro Russo che vanta contatti anche con i cutoliani presenti in Germania, dove Scotti in passato si sarebbe nascosto. Tra i contatti di Russo emergono quelli con Angelo Moccia, uomo di vertice dell’omonimo clan, confinato in carcere a Voghera. Rapporti mediati da Giuseppe De Luca (non indagato), imprenditore edile, un passato tra i cutoliani poi legato proprio ai Moccia di Afragola. De Luca si sente con Russo da un cellulare intestato alla Del Gap Costruzioni, società con lavori e appalti in tutta Italia. La Del Gap è stata destinataria anche di informativa antimafia ‘atipica’, annullata dal Consiglio di Stato, nell’aprile 2010. La sentenza sostiene che la proprietà è del figlio di De Luca e della madre. E dunque le parentele non sono sufficienti a comprovare il rischio condizionamento.

Giuseppe De Luca, già condannato per camorra negli anni ’80, è cognato proprio di Angelo Moccia. Crocevia di questi rapporti criminali è proprio Mauro Russo, esperto di primo livello nella gestione e nella fabbricazione di macchine mangiasoldi. La Gr games, a lui riconducibile, ha sede ad Arzano, territorio dei Moccia, ma anche un capannone a Trezzano sul Naviglio, paese di quell’hinterland a sud di Milano da anni infiltrato dalla criminalità organizzata. Insomma Scotti avrebbe attraverso Russo ed altri soggetti riannodato le fila dei rapporti e investito il suo ingente patrimonio nel settore remunerativo dei giochi.

Una triangolazione criminale che trova conferme. I Belforte, in particolare i fratelli Domenico e Salvatore sono cutoliani di ferro negli anni di dominio del professore vesuviano. Alcuni investigatori forniscono un ulteriore dettaglio. Tra le carte delle inchieste sui Belforte, ci sarebbe un’intercettazione tra il boss Pino Buttone e una donna, la quale all’ennesima richiesta su uno yacht da assicurare risponde: “ Ma quello è latitante da 30 anni”.

Il riferimento, sostengono gli investigatori, potrebbe essere proprio a Pasquale Scotti. Ma Scotti resta un fantasma, che ricompare sul manifesto funebre del fratello Giuseppe. “ Un’informatore – racconta un altro inquirente – ma un informatore ci ha spiegato che partecipò anche ai funerali vestito da prete, a Casoria vive anche l’anziana madre”. Pasquale Scotti ha anche una sorella, estranea alle vicende di camorra, impegnata nel settore dei laboratori sanitari, il marito è medico nell’ospedale casertano noto per la fuga del boss. Il nipote del latitante, Pietro Scotti, figlio del fratello Giuseppe, ha ereditato le aziende del padre, impegnate nel settore delle costruzioni.

L’amore per la famiglia ha spesso tradito i boss. Non sembra il caso di Pasquale o ‘colier. Ma a spiegare la latitanza del boss c’è anche altro come i segreti che Scotti custodisce. Il passato del latitante si lega con la vicenda della liberazione di Ciro Cirillo, l’assessore democristiano rapito dalle Br nel 1981 e liberato grazie all’intercessione di Cutolo. Scotti sa molto di quel passato di rapporti con pezzi dello stato e con agenti dei servizi segreti: “ Non è escluso – ci racconta un altro inquirente – che ne favoriscano la latitanza”.

Camorra e politica. Tra gli ultimi a vedere Scotti c’è stato Luigi Cesaro, nessuna omonimia, si tratta dell’attuale presidente della provincia di Napoli. Oggi Cesaro è con l’amico Cosentino un pezzo importante del Pdl campano, ma negli anni ’80 si vedeva con gli uomini della camorra. Cesaro in primo grado fu condannato a 5 anni per i suoi rapporti con i cutoliani, faceva anche da postino, portava i pizzini del clan. Cesarò è stato poi assolto, da postino. Dopodiché Gigino a purpetta, questo il suo soprannome, diviene vittima dell’estorsore Scotti, ma, come spiegherà ai giudici, incontra o’ colier, allora latitante, per consegnargli un bigliettino di Rosetta Cutolo. Da allora o’ colier è imprendibile.

martedì 26 giugno 2012

Don Raffaé, la canzone che De André scrisse ispirandosi a Cutolo

"don Raffaè, Voi politicamente,
io ve lo giuro, sarebbe 'nu santo...
ma 'ca dinto voi state a pagà
e fora chist'ate se stanno a spassà"


E' senza ombra di dubbio da inserire tra le dieci canzoni italiane più belle mai scritte nel ventesimo secolo. Musica e parole degne veramente di un grande artista quale è stato Fabrizio De Andrè. Sul significato che esprime si potrebbero scrivere libri, e in effetti lo si sta facendo da qualche tempo a questa parte, da quando scrittori del calibro di Pino Aprile hanno ridato linfa alla vecchia "Questione Meridionale". Linfa che sta iniziando a scuotere le coscienze del popolo napoletano, ma non dei suoi politici: peggio per loro!

Sulla canzone vi sarebbero anche alcuni aneddoti che varrebbe la pena di citare. Primo fra tutti il carteggio tra Cutolo e il famoso cantautore genovese.


COME NELLA CANZONE " DON RAFFAE' "
De Andre' : io fui facile profeta, me lo confermo' Cutolo


Fabrizio de Andrè
Fabrizio De Andre' sta per salire sul palco per la prova generale del suo nuovo concerto. Per la seconda volta in pochi mesi un fatto di cronaca ricorda una sua canzone. Prima la professionista dell'amore cacciata dalle donne di un paese (come in "Bocca di Rosa"), ora la connivenza mafiosa del vicecapo degli agenti di custodia di un famoso carcere, proprio come viene narrato nella canzone "Don Raffae". "Be', sono un profeta, come Geremia, come Isaia - scherza De Andre' -. Non ci voleva molto per immaginare che un capo della camorra avesse al suo soldo qualcuno del carcere. Con gli stipendi che passa lo Stato ai secondini e la forte personalita' di certi capi camorristici e mafiosi non c'e' da stupirsi se si creano connivenze e legami profondi. La canzone "Don Raffae'" alludeva a Raffaele Cutolo, ma ovviamente ne' io ne' Massimo Bubola, coautore del brano, disponevamo di notizie di prima mano sulla sua detenzione. Immaginate la mia sorpresa quando ho ricevuto una lettera di Cutolo che mi faceva i complimenti per la canzone e aggiungeva: "Non capisco come abbia fatto a cogliere la mia personalita' e la mia situazione in carcere senza avermi mai incontrato". Non si era offeso e gli era piaciuto il verso "Don Raffae' voi politicamente, io ve lo ggiuro sarebbe nnu santo" ed anche quello in cui il secondino gli chiede il favore di trovare un posto di lavoro a un suo parente. Alla lettera Cutolo aveva allegato un libro di sue poesie. Almeno un paio davvero pregevoli. Gli ho riposto per ringraziarlo. Recentemente - conclude De Andre' - mi ha scritto ancora. Pero' stavolta non gli ho risposto. Un carteggio con Cutolo non mi sembra il massimo. Per finire in manette basta assai meno".

Articolo del "Corriere della Sera" del 12 Febbraio 1997



Versione Registrata con immagini del Film "Il Camorrista"

Versione Live



Don Raffaè è una canzone scritta da Mauro Pagani per la musica e da Massimo Bubola e Fabrizio De André per il testo.

La canzone, tratta dall'album Le nuvole del 1990, è particolare in quanto cantata in napoletano. La canzone è stata anche incisa cantata in duetto con Roberto Murolo, che l'ha inserita nel suo album di duetti Ottantavogliadicantare (1992); tale versione è stata inserita anche nella raccolta del 2008 Effedia - Sulla mia cattiva strada. La canzone è stata altresì inserita nell'antologia postuma Da Genova, uscita alla fine del 1999.
Storia

Don Raffaè nasce dalla collaborazione di Fabrizio De André con Massimo Bubola per la stesura del testo, e con Mauro Pagani per la scrittura della musica. L'uso del dialetto non è comunque inusuale per lo stile dell'artista, in quanto appartenente al periodo della svolta world del cantautore.

La canzone è una denuncia della critica situazione delle carceri italiane negli anni ottanta, e della sottomissione dello Stato al potere delle organizzazioni malavitose.

Don Raffaele Cutolo
Nel brano si narra infatti di Pasquale Cafiero, un brigadiere di Polizia Penitenziaria del carcere di Poggioreale ormai sottomesso e corrotto da un boss malavitoso in galera, il Don Raffaè del titolo, a cui la guardia chiede diversi favori (prestargli un cappotto, trovare un lavoro a un suo fratello disoccupato da anni) e offre ripetutamente un caffè, ma anche la condizione di vita agiata all'interno del carcere dello stesso bos. Il brigadiere ha come unica speranza di miglioramento della propria condizione, quella di chiedere intercessione al boss Don Raffaè: per trovare lavoro o una casa, per ottenere giustizia, ma anche per un cappotto elegante da poter usare ad un matrimonio.

Secondo le parole dello stesso De Andrè, «la canzone alludeva a Raffaele Cutolo» noto camorrista e fondatore dellaNuova Camorra Organizzata, sebbene né lo stesso De Andrè né il coautore Massimo Bubola disponessero «di notizie di prima mano sulla sua detenzione». Anche lo stesso Cutolo pensò a una dedica alla sua persona e scrisse al cantautore genovese per chiedergli se “Don Raffaè” fosse effettivamente lui e per complimentarsi, meravigliandosi inoltre di come De Andrè fosse riuscito a cogliere alcuni aspetti della personalità e della sua vita carceraria, senza avere a disposizione informazioni dettagliate. De Andrè rispose alla lettera di Cutolo per ringraziarlo, ma evitò di continuare il carteggio con il boss, e lasciandolo libero di pensare che la canzone fosse dedicata a lui o meno.

Il ritornello della canzone è ripreso chiaramente dal brano O ccafè di Domenico Modugno.

Una incisione del brano è stata realizzata in coppia con Roberto Murolo, ed una esecuzione è stata cantata dai due in occasione del Concerto del Primo Maggio del 1992.

lunedì 25 giugno 2012

PASQUALE BARRA, detto 'o Nimale (l'animale)

Pasquale Barra (Ottaviano, 18 gennaio 1942) è un criminale italiano. È considerato uno degli esponenti di spicco della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Dissociatosi da Cutolo, Barra attualmente sconta l'ergastolo. È stato uno dei principali accusatori di Enzo Tortora.


LA CARRIERA

Affiliatosi prima come capozona di Ottaviano e poi come santista, Barra vanta 67 omicidi di cui molti compiuti nelle diverse carceri italiane dove ha soggiornato frequentemente dal 1970. Nel gergo della mala, gli vengono attribuiti due nomi: o ' studente - in riferimento allo stretto legame con Raffaele Cutolo, detto o' professore - e o ' nimale per la crudeltà e l'efferatezza dei suoi delitti.

La stampa lo ha soprannominato il boia delle carceri per l'incredibile facilità con cui uccide i carcerati su commissione. Si pensi, ad esempio, all'omicidio di Francis Turatello, malavitoso milanese. La terribile esecuzione - compiuta nel carcere Badu'e Carros di Nuoro il 17/8/1981 – è ricordata per la modalità efferata: Barra ferisce l'uomo con quaranta coltellate e lo squarta azzannando alcuni organi interni con l'aiuto di Vincenzo Andraous. Questo episodio è rievocato da Giuseppe Marrazzo nel libro Il Camorrista. Vita segreta di don Raffaele Cutolo e ripreso nel film Il camorrista di Giuseppe Tornatore. Tuttora, la stampa ricorda questo omicidio come uno dei più feroci compiuti in Italia.

Barra ha commesso altri omicidi in carcere; oltre al brutale assassinio di Francis Turatello, si ricorda l'esecuzione di Antonino Cuomo, capozona di Castellammare di Stabia, e quella compiuta ai danni di Domenico Tripodo, capo'ndrangheta calabrese. Il 23 novembre del 1980, nel corso del terribile sisma che colpì il capoluogo campano, Barra partecipò ad una rissa nel carcere di Poggioreale che costò la vita a tre detenuti e il ferimento di otto camorristi passati ad un clan concorrente. Barra ha avuto un ruolo di rilievo nell'omicidio di Francesco Diana, consigliere comunale socialista di San Cipriano d' Aversa, colpito con trentacinque coltellate nel carcere di Aversa.


LA DISSOCIAZIONE E IL CASO TORTORA

Barra fu il primo a dissociarsi da Raffaele Cutolo e, grazie al suo pentimento, rese possibile il più grande attacco mai portato dalla giustizia alla camorra. Si suppone che Barra si sia sentito tradito da Cutolo il quale, proprio in seguito all'omicidio Turatello e di fronte alle pressioni della mafia siciliana, sostenne di non esserne il mandante.

In seguito alle rivelazioni di Barra e dei pregiudicati Giovanni Pandico e Giovanni Melluso, fu possibile il blitz del 17 giugno 1983 in cui vennero arrestati 850 presunti affiliati della Nuova Camorra Organizzata, tra cui l'insospettabile Enzo Tortora. Barra, al fine di ottenere una protezione in carcere, fornisce liste di presunti camorristi nel corso di 17 interrogatori, ma solo al diciottesimo interrogatorio, il 19 aprile 1983, fa il nome di Enzo Tortoradefinendolo un affiliato alla Nuova Camorra Organizzata e responsabile del traffico di droga. Barra rifiuterà di deporre e di confermare le accuse sia al processo di primo grado che in quello d'appello. Le accuse si riveleranno infondate.

Il pentimento di Barra appare subito controverso. Nel corso delle indagini, i giudici scoprirono uno dei tanti tentativi di estorsione da lui compiuti per approfittare della sua posizione di pentito. Barra aveva scritto una lettera ad un concessionario di Casoria dove il camorrista chiedeva 15 milioni per non fare il suo nome nel corso degli interrogatori. In realtà, quello di Barra non si può definire un vero pentimento bensì una semplice dissociazione da Cutolo per ragioni personali. Infatti, Barra continua a definirsi camorrista

NOTIZIE RECENTI
Nel mese di maggio 2009, nel corso di un'udienza a carico di Raffaele Cutolo, Pasquale Barra ha testimoniato in videoconferenza da una località protetta affermando di non conoscere Raffaele Cutolo e Rosetta Cutolo. Pare che Barra stia realizzando uno sciopero del pentimento.

fonte:wikipedia


(dall'Archivio del partito radicale del 30 Giugno 1984)
Qualcuno lo ha subito ribattezzato il Joe Valachi della camorra. Il paragone appare un po' azzardato anche se il 42enne Pasquale Barra le carte in regola (si fa per dire) del capo clan, ce le ha tutte. Decine di omicidi alle spalle, dentro e fuori dal carcere di Poggioreale (in cui ha risieduto per 10 anni), il nostro eroe è soprannominato nel gergo della mala o 'animale , oppure »o 'studente . E balzato per la prima volta agli onori di tutte le cronache nere nazionali con l'omicidio del boss milanese Francis Turatello nel carcere di Nuoro il 17/8/1981. Barra squartò letteralmente Turatello (dicono che gli abbia azzannato il fegato e le viscere), forse per ordine di Cutolo. Pochi mesi prima aveva massacrato a coltellate Antonino Cuomo, sempre per ordine del capo della Nco. Barra è stato il principale ispiratore del blitz anticamorra del 17 giugno 1983, "il venerdì nero della camorra", in cui vennero arrestati 852 camorristi della Nco. 200 di loro verranno poi scarcerati nell'arco dei tre mesi successivi, soprattutto per errori di omonimia.

Tutti oggi sanno chi è Barra, in particolare perché ha accusato Enzo Tortora di spacciare la cocaina per conto della camorra. Un'assurda accusa che il giornalista televisivo ha sempre respinto e per la quale ancora oggi si trova agli arresti domiciliari.

Barra, che per anni è stato considerato il »boia delle carceri , dopo il suo pentimento è assurto a salvatore della Patria. Eppure, quasi tutti quelli che ha accusato, li ha coinvolti solo per ritorsione; lui, comunque, si arrabbia se lo chiamano pentito, e si professa camorrista verace al 100%.

I settimanali hanno una predilezione per Barra, che, dalle elastiche maglie del segreto istruttorio (quello di Pulcinella), ha fatto giungere interviste e memoriali esclusivi un po' a tutti. Qualcuno lo ha addirittura fotografato all'interno di una camera di sicurezza in una caserma dei Carabinieri.

Che dire poi dello sconcertante atteggiamento benevolo di alcuni inquirenti napoletani nei suoi confronti? Non passa giorno che non sia sollecitato il Ministro di Grazia e Giustizia affinché venga approvata una legge sui pentiti della camorra. Fino a ieri feroce assassino e oggi »prezioso collaboratore ; si sa, le cose della nostra Giustizia vanno così, e anche i Barra hanno i loro momenti di gloria. Specialmente quando le loro »disinteressate dichiarazioni contribuiscono a tenere in piedi i castelli accusatori contro Enzo Tortora. Ma Barra fa di più: in un'intervista ad un settimanale si permette di ammonire la figlia del presentatore, Silvia, a non fidarsi dello scaltro genitore, che viene definito »un mariuolo .

Con il caso Barra il fenomeno pentitismo ha raggiunto il punto del non ritorno, aprendo una nuova oscura epoca per le sorti dello Stato di Diritto in Italia.